Cosa c’entrano Bekim Fehmiu e Ulisse con Zodiac e il Mostro

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C’è un dettaglio nel testo cifrato contenente il nome di Zodiac che non dovrebbe passare inosservato. Questo particolare è qualcosa di più di una semplice “interpretazione” astratta di un messaggio di cinquant’anni fa, ma un riscontro a un’imbeccata che il postino Mario Vanni, presunto complice del Mostro di Firenze, diede alla polizia e che però si trasformò in una pista cieca.
Il maniaco, disse Vanni mentre era in carcere a Pisa, nel 2003, era americano e si faceva chiamare “Ulisse”.

Si dovrebbe parlare di connessione Ulisse-Zodiac prima ancora che Ulisse-Mostro. Il riscontro infatti è la parola chiave “Bekim” utilizzata dal Zodiac per criptare il proprio nome nella lettera affrancata “20 aprile 1970, San Francisco“.

Testo cifrato con il nome di Zodiac. Si noti che se si sostituiscono i simboli centrali con le lettere si ottiene la parola Bekim

“Bekim” non è altri che l’interprete di Ulisse dello sceneggiato italiano “Odissea” del 1968, l’attore Bekim Fehmiu.

L’intera soluzione viene fornita a questo link.

Nella primavera 1970, Fehmiu vestiva i panni di Dax Xenos, latin lover protagonista del film hollywoodiano “The adventurers”.

La pellicola era in proiezione in svariati cinema della Bay Area il giorno in cui la lettera di Zodiac con il suo nome cifrato veniva affrancata in un ufficio postale di San Francisco, il 20 aprile 1970.

Nel luglio 1974, pochi mesi prima che la serie di omicidi attribuiti al Mostro avesse inizio con il delitto di Borgo San Lorenzo, la RAI trasmetteva la prima replica della serie televisiva del 1968 “Odissea”. Fehmiu recitava nel ruolo di Ulisse.

Ulisse

Lo spunto per parlarne (ancora) è arrivato da una recente discussione su “Sneak JB Fellowship“. Per chi non lo sapesse, si tratta di un forum gestito dall’amico JimMorrison84, uno spazio di discussione sulla pista “Zodiac-Mostro di Firenze”. E’ formato perlopiù da un gruppo di utenti banditi per le loro idee, in gergo “bannati”, da imostridifirenze.forumfree.com. Sono stati ritenuti colpevoli di eterodossia. A differenza di tutti gli altri mostrologi o quasi (ci sono anche i “cripto-JBisti”), credono nel coinvolgimento dell’italo-americano Joe Bevilacqua, il signore che incast… aiutò a condannare Pietro Pacciani in primo grado, sostenendo di averlo visto al limitare del bosco nei pressi del luogo del delitto del 1985, il giorno prima del duplice omicidio. Sì, “JB” abitava a 300 metri dalla scena del crimine e aveva visto le vittime due volte poco prima che fossero ammazzate… e allora?

E’ stato l’utente “Tuttinessuno” a disseppellire nuovamente la questione “Ulisse”.

Del misterioso americano che Pietro Pacciani avrebbe incontrato in un bosco, al tempo dei delitti negli anni ’80, e al quale avrebbe confessato di essere l’assassino seriale, faccio un breve resoconto nel capitoletto successivo che chi già conosce il caso vorrà sicuramente saltare.

Vanni intercettato

Nel giugno 2003, Mario Vanni, ex postino di San Casciano in Val di Pesa condannato come complice del Mostro di Firenze, intercettato dalla polizia, confessa al conoscente Lorenzo Nesi di avere alcune informazioni sul vero serial killer. Pacciani? “No, non è stato lui”. A detta di Vanni, l’assassino seriale è un americano, un uomo “nero” che si fa chiamare “Ulisse”. Nesi e gli inquirenti non ne hanno mai sentito parlare, sino ad allora.

E chi sarebbe questo “nero”?, chiede Nesi.
Vanni non lo sa. “Veniva dall’America”, assicura all’interlocutore scettico.

E’ un mistero come al postino sia arrivata questa informazione sconosciuta. Di pettegolezzi, chiacchiere, polizia e carabinieri avevano fatto incetta per anni; possibile che il nome di Ulisse non fosse trapelato prima di allora? Poteva trattarsi di qualche segreto custodito da Vanni che, invecchiando, faticava a mantenere tale.

Vanni sostiene che Ulisse avrebbe detto a qualcuno (Pacciani, si desume) di essere il responsabile di tutti gli omicidi del Mostro. Non si conosce il periodo né precisamente dove l’americano e la fonte di Vanni si siano incontrati. Si sa che si sono imbattuti l’un l’altro in un bosco.

Il colloquio intercettato prosegue con il postino che sembra fare confusione fra ciò che ha sentito dalla fonte primaria e altre: l’americano si sarebbe suicidato, avrebbe lasciato le pistole al “procuratore che conta” (Piero Luigi Vigna?) e si sarebbe attribuito i delitti in una lettera. Vanni avrebbe appresto queste cose in televisione.

Parker

Al di là di come verranno estrapolate dal contesto queste affermazioni, la presunta identificazione di “Ulisse” sarà un fallimento. Forse sarebbe stato utile registrarla, invece che limitarsi a produrre un verbale scritto.

Stando ai resoconti investigativi, il 10 luglio 2003, la polizia sottopone la foto di un cittadino americano sfiorato dall’inchiesta Mostro nel 1983 alla prostituta Gabriella Ghiribelli, la testimone “Gamma” del processo a carico di Vanni e del suo compagno di bevute Giancarlo Lotti.

“Per caso, quest’uomo si faceva chiamare Ulisse?”, le chiedono.
Come no, “Giancarlo lo chiamava Uli”, ma “non era di colore”, risponde la testimone, riferendosi alla parola “nero”.

Il sospettato si chiama Mario Robert Parker. Non può difendersi da questa “identificazione” perché è morto di Aids nel 1996.

Negli anni ’80, Parker aveva abitato nella depandance di Villa La Sfacciata, a Firenze. Era scapolo, gay, faceva lo stilista e nessuno dei parenti lo aveva mai sentito chiamare “Ulisse”. Non si capisce, quindi, perché dovrebbe essere la persona indicata da Vanni, a parte il fatto che fosse un americano già vagliato dalla polizia all’epoca del delitto di Via di Giogoli, strada sulla quale sorgeva la casa d’epoca dove alloggiava. Per questo motivo, nient’altro, d’altronde, è stata sottoposta una sua foto a “Gamma”, che sembra lo abbia “riconosciuto” al primo tentativo.

Chi è davvero Ulisse

L’identità di Ulisse non è mai stata acclarata. Vanni ne aveva sentito soltanto parlare, non lo conosceva e non ha confermato le dichiarazioni di Ghiribelli.

Se si intendesse individuare Ulisse oggi, seguendo un metodo rigoroso di ricerca, e non “riconoscimenti” poco solidi, bisognerebbe basarsi sulle parole che il postino ha ricevuto dalla sua fonte primaria, Pacciani, escludendo le sue interpolazioni accertate, ossia tutto ciò che avrebbe appreso da altre fonti, come la televisione, da cui diceva di aver appreso che Ulisse fosse morto suicida.

I fatti riportati a Vanni da Pacciani sono certamente quattro: il Mostro si chiama Ulisse, è americano, è un “nero”, lo ha incontrato in un bosco. Fine.

Almeno il 50 per cento di queste informazioni si riscontrano non nelle parole di un testimone influenzabile, ma in un ritaglio di giornale di 9 anni prima.

Joe Bevilacqua e Pietro Pacciani si incontrarono al margine di un bosco nel 1985, a detta di Bevilacqua

L’americano che si imbatte in Pacciani vicino a un bosco non è lo stilista Parker ma l’ex “poliziotto criminale” Joe Bevilacqua.

Bevilacqua non è di colore, ma rispetto all’inerme stilista Parker vanta un’esperienza militare di vent’anni nell’esercito americano, di cui 10, ufficiali e non, nella Criminal Investigation Division, il reparto che si occupa delle indagini penali sugli appartenti dell’esercito statunitense. Ha anche combattuto in Vietnam, dove gli è stata conferita una silver medal. Sicuramente sa usare le armi da fuoco, anche se al processo Pacciani, dove depone contro l’imputato, il 6 giugno 1994, dice che lui non usava pistole: “Solo i mani”.

Inspiegabile è l’atteggiamento di un presunto onesto testimone, Bevilacqua, che omette di conoscere l’imputato, al processo, rivelando al sottoscritto, vent’anni dopo la deposizione, che non solo aveva incontrato più volte il presunto Mostro nel bosco degli Scopeti, ma che Pacciani aveva persino tentato di farsi assumere al cimitero americano da lui amministrato prima di entrare nuovamente in carcere negli anni ’80.

Non deve sorprendere, invece, che Pacciani cerchi di stare zitto. Non può sbugiardare Bevilacqua, senza collocarsi là dove il testimone dice di averlo visto. Che bazzicasse la zona del delitto non è certo un’informazione che vuole condividere con la giuria.

Tornato nella sua cella in carcere, Pacciani, qualche domanda sul perché il direttore del cimitero americano abbia fatto finta di non riconoscerlo, deve essersela fatta. Perché non ha detto di averlo visto altre volte? Non è che… non sarà mica…? Ulisse? Non aveva forse un accento straniero quel misterioso uomo incappucciato e vestito di nero che aveva incontrato una notte nel bosco di Scopeti e che gli aveva detto di essere il Mostro di Firenze? E lui che pensava fosse solo un guardone… sta a vedere che è davvero l’assassino.

Forse è semplicemente andata così: non è stato Bevilacqua a riconoscere Pacciani, al processo, ma Pacciani a riconoscere Bevilacqua in Ulisse.

Foto aerea del 1982. In blu, la casa di Joe Bevilacqua nel cimitero americano di Firenze, in rosso, a circa 10 minuti di cammino, la piazzola del delitto del 1985 a margine del bosco degli Scopeti

L’intenzione di Pacciani non è quella di denunciare Ulisse all’autorità – chi gli crederebbe? – ma di costringerlo con il ricatto a scagionarlo. A questo punto, informa l’amico Vanni tramite qualcuno che sarebbe sfuggito al controllo dell’autorità giudiziaria, un avvocato, un prete o una suora (se stai leggendo e sai di essere il misterioso tramite, sarebbe meglio che tu vada a dirlo al PM).

Pacciani, però, viene assolto in appello e muore prima del rifacimento disposto dalla Cassazione. Questo deve essere il motivo per cui il nome di Ulisse salta fuori solo cinque anni dopo, quando riaffiora alla mente di Vanni, che nel frattempo si è fatto una sua “idea” sull’assassino americano, collegando il racconto di Pacciani con storie che ha visto in televisione.

Possibili significati della parola “nero”

Bevilacqua è un maschio bianco, non di colore, qualcuno obietta. In questo caso, si può dire per davvero: “E allora?”. Per spiegare l’origine del termine “nero”, “negro”, è possibile ipotizzare svariati fraintendimenti, abbastanza verosimili, tra l’altro.

Il primo esempio, è che nel momento dell’incontro con Pacciani, Ulisse avrebbe potuto avere il volto coperto da un cappuccio o da trucco militare di colore scuro. Sarebbe stato senz’altro utile, per non essere visto, o comunque riconosciuto, mentre si muoveva in tarda sera nella penombra dei boschi a caccia delle sue future vittime. Vanni avrebbe quindi interpretato male il significato di “nero”, attribuendolo al colore della pelle.

Altro esempio, se un italiano si imbatte in una persona vestita nel modo in cui Zodiac si mostrò alle vittime di Lake Berryessa (identikit in basso a sinistra), la cosa più probabile a cui penserà è che si tratti di un neofascista, comunemente chiamato “nero” (manifesto in basso a destra). Se un italiano parla a un altro italiano di un “nero”, anche in questo caso è certamente possibile che lo fraintenda con “negro”, persona di colore.

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