“Ulisse”. Zodiac, il Mostro e Bekim Fehmiu

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Un dettaglio non può essere tralasciato nella soluzione del testo cifrato “il mio nome è” di Zodiac . C’è una parola che “spunta” dalla soluzione che, al tempo stesso, è un possibile riscontro a un’imbeccata che il postino Mario Vanni, presunto complice del Mostro di Firenze, diede alla polizia.

Mario Vanni scortato al processo. Gli verrà inflitto l’ergastolo sulla base della controversa testimonianza di Giancarlo Lotti

Nel 2003, Vanni, condannato con sentenza definitiva all’ergastolo come uno dei compagni di merende (Pietro Pacciani e Giancarlo Lotti) che secondo la “giustizia italiana” avrebbero commesso gli omicidi del Mostro, affermò che un certo “Ulisse”, nero e americano, avrebbe detto a qualcuno (sembra riferirsi a Pacciani) di essere il Mostro.

Possibile riscontro al racconto di Vanni è la parola “Bekim” che spunta nel risolvere il puzzle con il nome di Zodiac nella lettera affrancata “20 aprile 1970, San Francisco“.

In che modo si ottenga “bekim” nella risoluzione del puzzle viene spiegato a questo link.

Testo cifrato con il nome di Zodiac. Si noti che se si sostituiscono i simboli centrali con le lettere si ottiene la parola Bekim

Ho effettuato una ricerca della parola “bekim” su newspapers.com, sito che raccoglie milioni di edizioni di testate statunitensi a partire da secoli fa, filtro impostato sull’anno in cui Zodiac ha spedito la lettera (1970).

La ricerca è delimitata ai giornali da cui newspapers.com ha acquisito i diritti, un vasto repertorio della stampa americana. Se si scorre la pagina dei risultati della ricerca, si vedrà che il risultato all’anno 1970 è quasi sempre lo stesso.

Che sia un giornale di Atlanta o di San Francisco, la parola “Bekim” è associata quasi esclusivamente all’attore Bekim Fehmiu.

Nella primavera 1970, Fehmiu vestiva i panni di Dax Xenos, latin lover protagonista del film hollywoodiano “The adventurers”. In italiano, “L’ultimo avventuriero”.

Un film costoso, per l’epoca, che vedeva la partecipazione di attori come Charles Aznavour e Candice Bergem.

La pellicola era in proiezione da settimane in svariati cinema della San Francisco Bay Area il giorno in cui la lettera di Zodiac con il suo nome cifrato veniva affrancata in un ufficio postale della città californiana, il 20 aprile 1970.

Qualche lettore avrà capito il riferimento a Ulisse.

Chi non lo sapesse, potrebbe verificarlo da solo con una ricerca di “bekim” su Google. Non si può essere certi con gli algoritmi dinamici, ma Fehmiu è il principale risultato del motore di ricerca, sia in italiano sia in inglese, nel momento in cui scrivo.

Si scoprirà che Fehmiu è meglio conosciuto in Italia e all’estero come interprete di Ulisse nella miniserie televisiva “Odissea” (1968) diretta da Franco Rossi, Piero Schivazappa e Mario Bava, ciclicamente ritrasmessa dalla RAI negli anni ’60-’70.

La miniserie con Fehmiu protagonista è stata trasformata anche in un film. “Le avventure di Ulisse”.

Una delle sale si trovava al centro commerciale Hillsdale di San Mateo.

Lì c’era anche il ristorante “Italiano” di proprietà della San Remo Italian Food Company, azienda all’epoca indagata dai CID nell’inchiesta sulla Khaki Mafia alla quale Bevilacqua mi ha confidato di avere partecipato nei nostri colloqui del 2017.

Nel luglio 1974, pochi mesi prima che la serie di omicidi attribuiti al Mostro avesse inizio con il delitto di Borgo San Lorenzo, la RAI trasmetteva la prima replica della serie televisiva del 1968 “Odissea”. Fehmiu recitava nel ruolo di Ulisse.

Ulisse

Lo spunto per parlarne (ancora) è arrivato da una recente discussione su “Sneak JB Fellowship“. Per chi non lo sapesse, si tratta di un forum gestito dall’amico JimMorrison84, uno spazio di discussione sulla pista “Zodiac-Mostro di Firenze”.

A differenza di tutti gli altri mostrologi o quasi (ci sono anche i “cripto-JBisti”), credono nel coinvolgimento dell’italo-americano Joe Bevilacqua, il signore che aiutò a condannare Pietro Pacciani in primo grado, sostenendo di averlo visto al limitare del bosco nei pressi del luogo del delitto del 1985, il giorno prima del duplice omicidio.

Sì, “JB” abitava a 300 metri dalla scena del crimine e aveva visto le vittime due volte poco prima che fossero ammazzate… e allora?

È stato l’utente “Tuttinessuno” a disseppellire nuovamente la questione “Ulisse”.

Sulla vicenda del misterioso americano che Pietro Pacciani avrebbe incontrato in un bosco, al tempo dei delitti negli anni ’80, e al quale avrebbe confessato di essere l’assassino seriale, faccio un breve resoconto nei capitoletti successivi.

Vanni intercettato

Nel giugno 2003, Mario Vanni, ex postino di San Casciano in Val di Pesa condannato come complice del Mostro di Firenze, intercettato dalla polizia, confessa al conoscente Lorenzo Nesi di avere alcune informazioni sul vero serial killer. Pacciani? “No, non è stato lui”. A detta di Vanni, l’assassino seriale è un americano, un uomo “nero” che si fa chiamare “Ulisse”. Nesi e gli inquirenti non ne hanno mai sentito parlare, sino ad allora.

E chi sarebbe questo “nero”?, chiede Nesi.
Vanni non lo sa. “Veniva dall’America”, assicura all’interlocutore scettico.

E’ un mistero come al postino sia arrivata questa informazione sconosciuta. Di pettegolezzi, chiacchiere, polizia e carabinieri avevano fatto incetta per anni; possibile che il nome di Ulisse non fosse trapelato prima di allora? Poteva trattarsi di qualche segreto custodito da Vanni che, invecchiando, faticava a mantenere tale.

Vanni sostiene che Ulisse avrebbe detto a qualcuno (Pacciani, si desume) di essere il responsabile di tutti gli omicidi del Mostro. Non si conosce il periodo né precisamente dove l’americano e la fonte di Vanni si siano incontrati. Si sa che si sono imbattuti l’un l’altro in un bosco.

Il colloquio intercettato prosegue con il postino che sembra fare confusione fra ciò che ha sentito dalla fonte primaria e altre: l’americano si sarebbe suicidato, avrebbe lasciato le pistole al “procuratore che conta” (Piero Luigi Vigna?) e si sarebbe attribuito i delitti in una lettera. Vanni avrebbe appresto queste cose in televisione.

Parker

Al di là di come verranno estrapolate dal contesto queste affermazioni, la presunta identificazione di “Ulisse” sarà un fallimento. Forse sarebbe stato utile registrarla, invece che limitarsi a produrre un verbale scritto.

Stando ai resoconti investigativi, il 10 luglio 2003, la polizia sottopone la foto di un cittadino americano sfiorato dall’inchiesta Mostro nel 1983 alla prostituta Gabriella Ghiribelli, la testimone “Gamma” del processo a carico di Vanni e del suo compagno di bevute Giancarlo Lotti.

“Per caso, quest’uomo si faceva chiamare Ulisse?”, le chiedono.
Come no, “Giancarlo lo chiamava Uli”, ma “non era di colore”, risponde la testimone, riferendosi alla parola “nero”.

Il sospettato si chiama Mario Robert Parker. Non può difendersi da questa “identificazione” perché è morto di Aids nel 1996.

Negli anni ’80, Parker aveva abitato nella depandance di Villa La Sfacciata, a Firenze. Era scapolo, gay, faceva lo stilista e nessuno dei parenti lo aveva mai sentito chiamare “Ulisse”. Non si capisce, quindi, perché dovrebbe essere la persona indicata da Vanni, a parte il fatto che fosse un americano già vagliato dalla polizia all’epoca del delitto di Via di Giogoli, strada sulla quale sorgeva la casa d’epoca dove alloggiava. Per questo motivo, nient’altro, d’altronde, è stata sottoposta una sua foto a “Gamma”, che sembra lo abbia “riconosciuto” al primo tentativo.

Chi è davvero Ulisse

L’identità di Ulisse non è mai stata acclarata. Vanni ne aveva sentito soltanto parlare, non lo conosceva e non ha confermato le dichiarazioni di Ghiribelli.

Se si intendesse individuare Ulisse oggi, seguendo un metodo rigoroso di ricerca, e non “riconoscimenti” poco solidi, bisognerebbe basarsi sulle parole che il postino ha ricevuto dalla sua fonte primaria, Pacciani, escludendo le sue interpolazioni accertate, ossia tutto ciò che avrebbe appreso da altre fonti, come la televisione, da cui diceva di aver appreso che Ulisse fosse morto suicida.

I fatti riportati a Vanni da Pacciani sono certamente quattro: il Mostro si chiama Ulisse, è americano, è un “nero”, lo ha incontrato in un bosco. Fine.

Almeno il 50 per cento di queste informazioni si riscontrano non nelle parole di un testimone influenzabile, ma in un ritaglio di giornale di 9 anni prima.

Joe Bevilacqua e Pietro Pacciani si incontrarono al margine di un bosco nel 1985, a detta di Bevilacqua

L’americano che si imbatte in Pacciani vicino a un bosco non è lo stilista Parker ma l’ex “poliziotto criminale” Joe Bevilacqua.

Bevilacqua non è di colore, ma rispetto all’inerme stilista Parker vanta un’esperienza militare di vent’anni nell’esercito americano, di cui 10, ufficiali e non, nella Criminal Investigation Division, il reparto che si occupa delle indagini penali sugli appartenti dell’esercito statunitense. Ha anche combattuto in Vietnam, dove gli è stata conferita una silver medal. Sicuramente sa usare le armi da fuoco, anche se al processo Pacciani, dove depone contro l’imputato, il 6 giugno 1994, dice che lui non usava pistole: “Solo i mani”.

Inspiegabile è l’atteggiamento di un presunto onesto testimone, Bevilacqua, che omette di conoscere l’imputato, al processo, rivelando al sottoscritto, vent’anni dopo la deposizione, che non solo aveva incontrato più volte il presunto Mostro nel bosco degli Scopeti, ma che Pacciani aveva persino tentato di farsi assumere al cimitero americano da lui amministrato prima di entrare nuovamente in carcere negli anni ’80.

Non deve sorprendere, invece, che Pacciani cerchi di stare zitto. Non può sbugiardare Bevilacqua, senza collocarsi là dove il testimone dice di averlo visto. Che bazzicasse la zona del delitto non è certo un’informazione che vuole condividere con la giuria.

Tornato nella sua cella in carcere, Pacciani, qualche domanda sul perché il direttore del cimitero americano abbia fatto finta di non riconoscerlo, deve essersela fatta. Perché non ha detto di averlo visto altre volte? Non è che… non sarà mica…? Ulisse? Non aveva forse un accento straniero quel misterioso uomo incappucciato e vestito di nero che aveva incontrato una notte nel bosco di Scopeti e che gli aveva detto di essere il Mostro di Firenze? E lui che pensava fosse solo un guardone… sta a vedere che è davvero l’assassino.

Forse Pacciani ha riconosciuto Ulisse in Bevilacqua ripensando al loro confronto al processo nel ’94.

L’intenzione di Pacciani non è quella di denunciare Ulisse all’autorità – chi gli crederebbe? – ma di costringerlo con il ricatto a scagionarlo. A questo punto, informa l’amico Vanni tramite qualcuno che sarebbe sfuggito al controllo dell’autorità giudiziaria, un avvocato, un prete o una suora (se stai leggendo e sai di essere il misterioso tramite, sarebbe meglio che tu vada a dirlo al PM).

Pacciani, però, viene assolto in appello e muore prima del rifacimento disposto dalla Cassazione. Questo deve essere il motivo per cui il nome di Ulisse salta fuori solo cinque anni dopo, quando riaffiora alla mente di Vanni, che nel frattempo si è fatto una sua “idea” sull’assassino americano, collegando il racconto di Pacciani con storie che ha visto in televisione.

Possibili significati della parola “nero”

Bevilacqua è bianco, non di colore, qualcuno obietta. Forse, però, alla base dell’utilizzo del termine “nero” da parte di Vanni potrebbe esserci un fraintendimento.
Mettendo da parte di chi, come e quando Vanni avrebbe appreso la storia di Ulisse, certamente dalle sue parole si evince che sia il racconto di un’altra persona (si desume Pacciani). Il presunto complice del “Vampa” potrebbe avere interpretato male il significato di “nero”.

Primo esempio. Al momento del suo incontro (fortuito?) con Pacciani, Ulisse potrebbe aver indosssato un cappuccio o avere avuto la faccia dipinta con trucco militare di colore scuro. Sarebbe stato senz’altro utile, per non essere visto, o comunque riconosciuto, mentre si muoveva in tarda sera nella penombra dei boschi a caccia delle sue future vittime. Vanni avrebbe quindi interpretato male il significato di “nero”, attribuendolo al colore della pelle . Ipotesi formulata dal commissario Andrea Giannini in un incontro in Procura a Firenze il 16 aprile 2018.

Secondo esempio. Se un italiano si imbattesse in una persona vestita nel modo in cui Zodiac si mostrò alle vittime di Lake Berryessa (identikit in basso), quasi certamente penserebbe che si tratti di un neofascista, comunemente chiamato “nero” (manifesto in basso a destra). Se un italiano parla a un altro italiano di essersi imbattuto in un “nero”, anche in questo caso potrebbe fraintendere pensando che si stia parlando di una persona di colore.